giovedì 5 maggio 2011

L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera

Cercare di spiegare il significato di alcune parole crea sempre dei problemi; pensate a parole complesse da definire come amante, amico, moglie, marito, figlio. Queste parole vengono indicate in grammatica come apposizioni e il loro ruolo è quello di predicare qualcosa in più riguardo al nome cui si riferiscono. Sotto a queste apposizioni si nascondono però persone diverse, rapporti complicati e storie piene di sentimenti profondi e contrastanti. Sono le storie intrecciate di Tereza, Tomâs, Sabina e Franz che vi faranno analizzare e comprendere l’infinita complessità dei rapporti umani e la disarmante diversità che corre tra individui legati fra loro (dal caso, dal destino, dalla vita). Kundera riesce a dipingere con grande abilità e intuizione i moti dell’animo dei suoi personaggi, seguendoli nella loro crescita, scrutandone i pensieri e spiegandone le scelte; ognuno di loro è dotato di un importante spessore psicologico, le loro azioni e i loro pensieri rendono difficile l’immedesimazione e proprio in questo credo che risieda la bellezza del libro. 
Se siete in cerca di una storia d’amore idilliaca allora non leggetelo, se cercate l’amore come quello che ci propinano le commedie americane allora non leggetelo. Non troverete in questo libro cliché romantici, principi azzurri o donne perfette, ma storie di esseri umani segnati dal loro passato; scoprirete le diverse sfumature dell’amore e dell’affetto, la tristezza e la felicità, la debolezza e il coraggio, la gioia e il dolore. Non troverete voi stessi o personaggi simili tra loro, troverete Tereza, Tomâs, Sabina e Franz.

«Ciò che l’io ha di unico si  cela appunto in ciò che  l’uomo ha di in immaginabile. Noi possiamo immagi-narci solo ciò che nelle  persone è uguale, ciò che è comune. L’io individuale è ciò che si differenzia dal  generale, quindi ciò che non  si può indovinare o calcolare  in precedenza, ciò che nell’altro si deve svelare, scoprire, conquistare».

«Se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità come Gesù Cristo alla croce. È un’idea terribile. Nel mondo dell’eterno ritorno, su ogni gesto grava il peso di una insostenibile responsabilità. Ecco perché Nietzche chiamava l’idea dell’eterno ritorno il fardello più pesante ( das schwerste Gewicht). Se l’eterno ritorno è il fardello più pesante, allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza».

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